Non si placano le polemiche in merito ai criteri adottati per il pagamento dei consumi idrici. In ballo ci sarebbero milioni di euro che il Comune dovrebbe incassare per garantirsi liquidità. Sotto i riflettori sarebbe finita la delibera di giunta n. 151 del sette maggio 2008 con cui L’Ente intende fare chiarezza rispetto alle modalità e le motivazioni attraverso cui chiedere ai cittadini il costo del servizio erogato. Il periodo di riferimento dei ruoli è relativo all’anno 2003 ed a parte dell’anno 2004.
La questione si starebbe trascinando da almeno un quinquennio anche causa dell’assenza dei contatori presso le utenze cittadine. La gestione del servizio idrico con la relativa richiesta di pagamento è stata comunale sino alla metà dell’anno 2004, quando subentrò la GORI spa. In sostanza la delibera della giunta prevede un pagamento basato sul criterio dei 18.25 metri cubi procapite oltre il canone relativo a depurazione e fognatura, salvo successivo conguaglio. Il criterio adottato da Palazzo di Città si rifarebbe a numerose sentenze dei Giudici di Pace del Tribunale di Nocera Inferiore. Un parametro adottato forzosamente a causa dell’assenza della verifica dei consumi attraverso i misuratori.
A sollevare alcuni interrogativi chiedendo l’annullamento della delibera è stato Antonio D’Ambrosio, redigente del Comitato Spontaneo Salute Pubblica.
Nell’istanza protocollata è scritto che : “L’applicazione di 18.25 mc a persona apparirebbe un’ aperta violazione dell’art. 3 della Costituzione Italiana, in quanto facendo pagare uguale importo per il consumo di acqua, depurazione e fognatura non viene applicato il criterio di uguaglianza come parità di trattamento, poiché tratta situazione diverse, cioè consumi d’acqua differente, in maniera uguale facendo pagare a tutti lo stesso importo”. Ed ancora : “L’applicazione di 18.25 mc adottato sulla base di sentenze e indicazioni dei Giudici di Pace, per quanto rispettabili, introdurrebbe una fattispecie impositiva non prevista dalla legge”.
Alla base dei dubbi mossi da D’Ambrosio c’è sempre e comunque il “concetto di consumo presunto ed a forfait, sconfessato da innumerevoli sentenze della Cassazione”. A ciò si aggiunge che “applicando il minimo garantito non si rispetta la sentenza di Cassazione n. 382 del 11.01.2005 che sancisce che il fruitore del servizio di acqua potabile può essere tenuto a pagare il minimo garantito a patto che l’Ente fornisca prova scritta che il fruitore abbia accettato la clausola contrattuale, in mancanza sarà tenuto al pagamento solo dell’effettivo consumo”. Infine, dubbi anche in relazione all’applicazione dell’IVA al dieci per cento che a dire di D’Ambrosio può essere applicata “unicamente sulla base della lettura effettiva dei consumi attraverso il contatore che nel caso di Angri non è mai stata effettuata”.