Il cibo, nutrimento del corpo ma anche legame, scambio ed appartenenza sociale

L'Angolo dello Psicologo: rubrica a cura del dott. Vincenzo Amarante, psicologo e psicoterapeuta

Vincenzo AmaranteIl cibo è più di qualcosa da mangiare: è nutrimento e piacere, ma non solo. E’ anche simboli, tradizioni, abitudini associate agli alimenti e profondamente radicate nelle relazioni sociali e familiari. Il cibo è legame materno, familiare, sociale, oltre ad essere appartenenza, identità, memoria. Esso ha un valore simbolico sia per quanto riguarda gli aspetti culturali sia per quelli relazionali e intrapsichici associati.
L’alimentazione è innanzitutto un bisogno fondamentale, se non mangiamo non viviamo. Però poi le cose si complicano poichè l’atto del mangiare si articola nel corso dello sviluppo di ognuno secondo codici cognitivi, affettivi, comportamentali, comunicativi e culturali.
Fin dalla nascita il bambino conosce il mondo “con” e “attraverso” la bocca; comunica affettivamente ed emotivamente attraverso le sue sensazioni di fame e di sazietà, di gusto e di disgusto. Il cibo diventa il veicolo della relazione tra il bambino e chi si prende cura di lui, il mangiare è un’esperienza relazionale e affettiva di enorme importanza per il benessere psicofisico. Nei primissimi giorni di vita, l’allattamento permette a madre e figlio di sperimentare un’intimità profonda; il modo in cui il cibo viene offerto può essere vissuto come più o meno piacevole e in relazione a questo il bambino gli attribuirà un significato buono o cattivo.
Mangiare significa mettere dentro di sé qualcosa che proviene dall’esterno e questa è per il bambino una prima esperienza di differenziazione: c’è qualcosa di diverso tra un dentro e un fuori, tra un Sé e qualcos’altro.
I nostri comportamenti alimentari sono anche lo specchio della società in cui viviamo. Oggi l’'estrema disponibilità di cibo in ogni luogo ha dato forma al nostro modo di mangiare; prevale la cultura del cibo già pronto e dello snack, che rinvia ad un modello alimentare frammentato. Ancora, il cibo rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva: le colazioni di lavoro, il cenone di capodanno, il pranzo della domenica, sono tutti momenti particolari che permettono interazioni affettive e di comunicazione che vanno ben al di là della semplice attività del pasto. Mangiare è dunque un fatto sociale, una pratica che si apprende con gli altri ed è così che il cibo si iscrive in una rete di scambi sociali e funziona da mediatore tra le persone. Dare e ricevere cibo, mangiare insieme, significa, ancora, accettazione e riconoscimento reciproco, legami che si tessono e si riaffermano mentre, al contrario, rifiutare il cibo significa rifiutare l'altro, non riconoscerlo.
I disturbi alimentari quindi, ben lungi dall’essere collegati soltanto “al volersi vedere magri e belli”, ben poco hanno a che fare con il singolo individuo: piuttosto andrebbero compresi e interpretati come messaggio della singola persona al suo mondo circostante.

Dott. Vincenzo Amarante

Psicologo – Psicoterapeuta

dott.amarante@gmail.com

Parole Chiave: news, angolo dello psicologo, vincenzo amarante

Pubblicato il 28 Luglio 2015 da La Redazione


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